unTermine di Fabio Angelo Bisceglie
Questa serie ha come titolo, “unTermine”, un neologismo italo-inglese, che tradotto si direbbe, nontermine, che vuole significare l’impossibilità di dare un termine ad un oggetto designato dal termine utilizzato, con un risvolto successivo, ovvero di dare “un termine” significativo all’atto stesso di terminare un’impossibile, quindi di dare un nome all’innominabile.
Si tratta di una sorta di atto-linguistico specchiato che cattura ciò che non siede nello specchio, come referente nonvisbile, preso insieme al visibile. Un’esplorazione multi-dimensionale del linguaggio, che pone l’attenzione su alcune caratteristiche intrinseche ed estrinseche, come: la comunicabilità, la conoscibilità, il sapienziale e l’espressività.
Anche le operetitolo provengono dal lessico ebraico, esse hanno un’eco, plurimo di significati letterali ed etimologici, ed inoltre sono colmi di rimandi biblici, di grande valore evocativo. Un’insondabile epilinguismo, messo in atto dalle opere stesse, le quali mettono in mostra un nondicibile primordiale.
I dí-segni di questa collezione hanno smarrito l’ordine cronologico, nel senso che non si può decretare se sia stato il nome a creare il disegno o se il disegno abbia generato il nome, legandoli in un unicum indivisibile, uscendo dalla dialettica titolo-opera.
L’opera d’arte funge così da reperto archeologico, o meglio, da geroglifico del futuro, il quale porta in seno, un’enorme quantità d’informazioni, consce ed inconsce, conservando in sé, un certo grado d’indecifrabilità, che consiste nella rappresentazione dell’immagine sonora nella sua doppia variante, di suono e nonsuono (diversa dall’opposto detto silenzio).
Il dì-segno, inoltre, diventa logogramma, e viene composto e strutturato secondo leggi particolari della geometria non-Euclidea, della meta-geometria, con le quali si possono mettere in forma anche le estensioni estetico-qualitative di un dato analitico, senza possibilità di decretare la quantità di esso. In questo caso si definisce il valore percettivo del grado evocativo ed estetico di una parola, andando oltre i dati etimologici di senso scibili. Quasi come disegnare un oggetto metafisico con leggi fisico matematiche prese dallo studio della natura, quindi una sorta di disegno fatto da un atto metafisico.
Si prende spunto dalla geometria frattale o dalle teorie matematiche del caos, che mettono in luce movimenti apparentemente casuali, che in realtà hanno nella loro immanenza una trascendenza attuativa che corrisponde a delle idee immanenti, una sorta di trascendenza immanente, sopra-casuale. Si può portare come esempio il moto Brawniano e l’auto-similarità discontinua o frammentata, che sono generate dalla ricorsività di una semplice equazione, che proprio nella prassi del lavoro dell’artista, emerge dalla ripetizione di un tratto lungo tutto il disegno, generato all’interno di un sistema dinamico e caotico, che da vita a delle forme imprevedibili, dalla coscienza umana dell’io o di più io.
In natura sappiamo che esiste un ordine precisissimo, le foglie sono disegnate perfettamente, si ripetono, ma, a fianco a queste, ci sono anche dei casi di mutazione imprevedibile che generano altre forme, le quali stanno oltre il prestabilito, oltre la dialettica trascendente ed immanenza, piuttosto nell’indivisibile delle due sostanze espresse da questi due termini. Essi nella loro fusione danno origine a nuove forme, del tempo immortale nell’atto di schiudersi, propio come un disegno in atto.
La procedura di tale movimento è in parte come ciò che designa la teoria del turbamento nella flusso-dinamica, ovvero: si è verificato che il moto di alcune particelle, che si muovono sotto forze caotiche smettono di seguire le traiettorie pre-ordinate in precedenza, dando vita cosi a forme insospettate, insolite. Ed è questo il processo delle composizioni dell’artista, o meglio questo è ciò che ha scoperto nel processo a cui si sottoponeva, processo causato da una specie di Clinamen Epicureo, nonpercepibile, ma percepibile in quanto mancanza di determinazione.
La funzione logogrammatica del dì-segno in relazione alla parola, o viceversa, ha un valore sinestetico: si tratta di mostrare un suono, attraverso il visivo, e con esso anche il nonsuono: una percezione sonora del nonsuono attraverso l’intelligenza scopica.
Il disegno è una traccia marcata su carta, una testimonianza del passaggio del sentore impercettibile e racchiuso nel suono di un significante, che l’operatore artista ha catturato nella sua doppia valenza, ossia nel rovescio del suono, il nonsuono. Lo si potrebbe paragonare, per essere più chiari, al non-vuoto, il contrario del pieno, ma piuttosto un rovescio in atto di rotazione della medesima cosa, pero catturato nell’atto di assenza intrinseca della stessa materia, in questo caso la materia del vuoto.
Così il logogramma in questa esplorazione diviene una specie di geroglifico con le sue caratteristiche di impossibilità di decodificazione, con una particolarità che lo distingue e lo rende un neo-geroglifico, ovvero un segno indecifrabile proveniente dal futuro emesso adesso con valore retroattivo nel passato e con potere attuativo nel presente, con la capacita di generare cambiamento nello stato delle cose, generato dalle operetitolo che fungono, nella loro interezza, come simboli evocativi, di esperienza estetica immanente-trascendentale.